Meditazione (25/12/2023)

[NATALE DEL SIGNORE – ANNO B]

Giovanni ci porta «in principio», espressione con cui si aprono le Scritture ebraico-cristiane e, portandoci lì, non ci porta tanto in un luogo quanto in una relazione, quella da cui tutto ha origine, ci porta nel seno della Trinità.

Nella grazia di essere figli

Nel Vangelo della messa del giorno di Natale ascoltiamo l’ouverture del vangelo di Giovanni. È l’inizio di una sinfonia in cui si preludono i motivi dell’intero vangelo. Giovanni, che in tutto il suo vangelo lascerà trasparire la domanda circa l’origine di Gesù, non apre il suo vangelo con una genealogia, né con un prologo a carattere storico, ma realizza la sua indagine liberando la poesia, sorella della profezia e della parola della fede, in un canto cristologico che lascia commossi e senza fiato.
Giovanni ci porta «in principio», espressione con cui si aprono le Scritture ebraico-cristiane e, portandoci lì, non ci porta tanto in un luogo quanto in una relazione, quella da cui tutto ha origine, ci porta nel seno della Trinità. L’origine di Gesù è il «principio» di tutto, la causa prima da cui proviene ogni cosa. Egli viene da Dio, è Dio, si fa conoscere come «vita» e come «luce» e si fa precedere da un testimone che accoglie la missione di «dare testimonianza alla luce perché tutti credessero per mezzo di lui» (Gv 1,7). Venendo nel mondo, il Figlio realizza l’opera dell’illuminazione, opera diversa da quella decorativa che coinvolge le nostre città nel periodo delle festività natalizie, diversa perché rivelativa non di una luce qualunque, smorta o a intermittenza, ma della luce «vera», categoria che porta la firma di Dio, perché capace di intercettare le tenebre di ogni uomo. L’illuminazione per Giovanni non è il risultato di tecniche ascetiche, ma è l’accoglienza libera e profonda della divina Parola. Non è frutto dello sforzo dell’uomo che punta a raggiungere il divino, ma reciprocità dialogante con il Padre nella carne del Figlio Suo.
La luce entra nel mondo illuminando, ma incontra la resistenza del mondo che non la riconosce:

«era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11).

È il dramma che Dio sperimenta nella relazione con il suo popolo quando ricorda, per bocca di Isaia, che «il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende» (Is 1,3). È il mistero della libertà umana che, dinanzi allo stesso evento dell’attendarsi di Dio nella storia mediante la carne umana di Gesù, sperimenta lo scandalo e l’inciampo oppure si sente sollevato e riportato in vita (cf. Lc 2,34).
Accanto a chi non riconosce e non comprende, però, c’è anche chi accoglie la luce e, mediante la fede in Gesù, si lascia trasfigurare in figlio e figlia di Dio:

«A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali… da Dio sono stati generati» (Gv 1,12.13).

In tal modo scopriamo che la nostra origine non è legata solo a legami di sangue. La nostra vera “genealogia” è la fede in Gesù che ci dona una nuova provenienza, ci fa nascere da Dio. Per questo Giovanni non può non esplodere in quel grido gioioso:

«il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria… dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia» (Gv 1,14.16).

Nell’uomo Gesù vi è l’“attendarsi” del Verbo, il Logos eterno, il suo fissare la tenda nel mondo, nella storia. La carne di Gesù è la tenda del Verbo, la tenda dell’incontro tra Dio e l’uomo, prefigurata dalla tenda nel deserto e dal tempio di Gerusalemme.
L’incarnazione appare allora come l’espressione dell’amore che non solo si fa vicino, ma mostra il superamento di ogni misura perché si fa carne della tua carne, si fa te. Facendosi te, inoltre, fa l’esegesi del Padre (Gv 1,18), un’esegesi che non solo ce ne lascia intuire il volto, ma che dà accesso all’esperienza dinamica, amorosa e feconda della relazione con Lui.

Rosalba Manes

Sabino Chialà

Luciano Manicardi Priore di Bose