LETTERA DI NATALE DELL’ARCIVESCOVO MONS. CESARE NOSIGLIA ALLE FAMIGLIE E ALLE COMUNITÀ DELLE DIOCESI DI TORINO E DI SUSA

La festa dell’incontro
con Dio e tra gli uomini
LETTERA DI NATALE DELL’ARCIVESCOVO
MONS. CESARE NOSIGLIA
ALLE FAMIGLIE E ALLE COMUNITÀ
DELLE DIOCESI DI TORINO E DI SUSA
Cari amici,
la “visita” annuale che, in occasione del S. Natale, rivolgo
alla vostra famiglia, è accompagnata da un augurio, che
è certamente il più bello da accogliere e realizzare: quello
della comunione che Gesù porta, con la sua nascita, nelle
famiglie e nella grande comunità dei popoli della terra.
“Comunione” non è una parola facile da comprendere,
oggi, perché si confonde spesso con unanimità e sembra preludere al tentativo di imporre una sola idea, un
solo ed unico pensiero da seguire, un appiattimento
su posizioni di pochi eletti, che dominano sugli altri. In
realtà, “comunione” è una delle espressioni più belle e
profonde della Bibbia, che dà origine poi ad una comunità, dove le relazioni sono sincere e autentiche, ricche
di uno stile di vita fraterno e amicale tra tutti coloro che
ne fanno parte.
Gesù è venuto per unire l’umanità dispersa dal peccato
e perché di tante pecore (altra bella immagine usata dal
Signore per descrivere la sua Chiesa) si faccia un solo
gregge sotto la guida di un solo pastore. La sua nascita
segna l’inizio di questa novità assoluta in un mondo dominato dalla divisione, dalle contrapposizioni e dagli egoismi,
che accentuano le differenze come muri di separazione tra
le persone, le famiglie, i popoli, le religioni e le culture. Gli
angeli cantano sulla grotta di Betlemme: «Pace in terra agli
uomini che Dio ama». Essi sono quelli di buona volontà che
ovunque accolgono e operano affinché la pace, che nasce
dalla comunione con Dio, si espanda su tutta la terra.
Natale è la festa dell’incontro tra diversi, della riconoscenza
e dell’accoglienza gli uni verso gli altri, della condivisione
della stessa strada verso l’unico Dio e Signore che quel divin Bambino di Betlemme ha rivelato e portato sulla terra.
Strade diverse,
stessa meta
Il tempo di Natale ripropone, nella festa dell’Epifania,
un episodio misterioso, ma reale e ricco del messaggio della comunione tra i popoli e le religioni, che apre
orizzonti nuovi per la nostra vita di cristiani e uomini di
buona volontà. Racconta il Vangelo di Matteo che «alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo
visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”.
All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta
Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi
del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva
nascere il Cristo. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea,
perché così è scritto per mezzo del profeta Michea…”.
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire
da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: “Andate e informatevi
accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato,
fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”.
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si
fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati
nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si
prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni
e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti
in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada
fecero ritorno al loro paese» (Mt 2, 1-5.7-12).
L’episodio dei Magi ha sempre attirato la curiosità e la
fantasia di tanti artisti, studiosi, poeti, scrittori e anche
della gente comune per la vivacità del suo racconto,
ricco di sorprese e di un segreto e profondo fascino
spirituale e culturale. I Magi erano pagani e non appartenevano al popolo di Israele. Provenienti da paesi
diversi e lontani, erano però accomunati dallo stesso
desiderio di trovare il Messia, il Salvatore, colui che
avrebbe portato la riconciliazione e l’unità tra tutte le
genti. Ognuno di loro, senza conoscere l’altro, ha visto
la stessa stella e si è messo in cammino, privo di una
meta precisa, ma fidandosi solo del tracciato che la
stella indicava nei suoi spostamenti.
Questo pellegrinaggio realizza già la comunione tra loro,
perché, pur nella diversità delle strade percorse, sono
spinti dallo stesso desiderio di raggiungere una meta comune e si ritrovano convergenti sulla strada maestra verso
Betlemme, indicata dalla stella, dopo la sosta a Gerusalemme. La meta raggiunta li vede riuniti insieme per compiere gli stessi gesti di adorazione e di stupore di fronte a
quel Bambino, riconosciuto come Re dei re, Signore dei
Signori, Dio e uomo. I doni che offrono, infatti, richiamano
la loro fede e rivelano chi è veramente il figlio di Maria di
Nazareth: l’oro riconosce la sua regalità, l’incenso la sua
divinità, la mirra la sua umanità votata alla morte.
Matteo, con questo episodio, vuole trasmettere un
chiaro messaggio alle sue comunità ebraico-cristiane,
per le quali scrive il Vangelo: il Dio dei padri ha mandato il suo Messia nel mondo ed egli è il Principe della
Pace e fonte di comunione tra tutti i popoli della terra,
come avevano preannunciato i profeti. Le diversità tra
le nazioni, le culture, le religioni ed ogni altra differen
za, di cui sono portatori gli uomini, restano tutte intatte
e feconde di beni spirituali, culturali e materiali; ma
nessuno, d’ora innanzi, potrà pretendere una primogenitura, una superiorità verso gli altri. Tutti sono uno
di fronte al loro Re e Signore, che li chiama a sé, e
del quale riconoscono la potestà che Dio gli ha dato.
Per questo la Chiesa ha legato l’episodio dei Magi alla
festa dell’Epifania, cioè della manifestazione di Gesù
Cristo, Messia, vero Dio e vero uomo, unico Salvatore
di tutti gli uomini. E per questo canta nella liturgia: «Ti
adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra».
Possiamo anche ricordare che i nostri fratelli e sorelle
delle Chiese dell’Oriente celebrano l’Epifania come il
vero Natale del Signore, la cui luce illumina ogni uomo
che viene in questo mondo.
È venuto per
riunire quanti
sono divisi
e dispersi
Natale è dunque la festa della riconoscenza. Dio incontra l’uomo, facendosi uno di noi, e ci dona la dignità di
figli. Noi incontriamo in Gesù il Figlio di Dio e riconosciamo in lui il nostro fratello, amico e Salvatore.
Natale è anche la festa dell’incontro tra gente diversa.
Gesù è venuto per radunare le genti disperse e divise
e formare un solo popolo, una sola comunità. L’Apostolo Paolo esprimeva così questa verità: «Non c’è Giudeo
né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e
femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal
3,28). Le antiche e radicate divisioni tra popoli, classi
sociali e persino le differenze naturali sono superate da
quella comunione di vita che Cristo ha portato sulla terra.
L’incontro e le relazioni amicali tra persone trovano nella famiglia la prima comunità, dove si impara
a riconoscersi fratelli e a vivere esperienze ricche di
umanità e di condivisione. Purtroppo, quello di cui oggi
si soffre di più, anche in casa, è proprio la carenza di
relazioni sincere e profonde dal punto di vista umano
e spirituale. Viviamo in un mondo di diffusa e capillare
informazione, che si avvale di nuovi linguaggi affascinanti ed aperti a sempre nuovi stimoli ed interessi. È
un dato, questo, molto positivo, ma che rischia paradossalmente di isolare ancora di più la persona dentro
un mondo virtuale e soggettivo da cui diventa difficile
uscire per dialogare e rapportarsi all’altro e agli altri. Si
impoveriscono così i rapporti interpersonali e la comunicazione verbale ed esperienziale tra coloro che pure
vivono accanto l’uno all’altro. Ne soffrono le famiglie, i
gruppi e le comunità.
La solitudine è la più diffusa malattia dello spirito, che
incide profondamente nella vita delle persone. Penso
a tanti anziani e malati, che, pur avendo figli e nipoti,
vicini di casa e parenti, trascorrono molti giorni senza
vedere nessuno dei propri cari, ma solo la badante, e
non ascoltano alcuno, se non la televisione. Molti altri
sono accolti nelle numerose case di riposo, dove solo
occasionalmente ricevono visite di parenti e amici. Tante
volte chiedo loro: «Ma i vostri figli e nipoti?»; e la risposta
è sempre la stessa: «Hanno la loro famiglia, la loro vita
carica di impegni». Li giustificano per amore, ma con gli
occhi tristi e, ne sono certo, il cuore gonfio di sofferenza.
Lo stesso capita a tanti ragazzi e giovani, che sembrano circondati da amici, attività sportive e divertimenti,
beni materiali e grandi affetti in famiglia, ma nessuno
si occupa delle loro crisi interiori, del vuoto dell’anima
che, a poco a poco, li consuma e li rende estranei ai
genitori e a tutti.
E che dire della relazione tra coniugi soffocata dal fare
e dai servizi necessari per la vita di famiglia, dalle crescenti preoccupazioni economiche, dalle fatiche derivanti da situazioni di divisioni o di sofferenze fisiche e
morali! Non si trova più il tempo per parlare insieme,
perché la televisione e ancor più i social media irrompono con il loro assordante rumore persino durante i
pasti e le attività domestiche di chi lavora impegnano
sempre fino a tardi, anche la sera.
Tutti si lamentano di questa situazione di stress, ma pochi riescono a fare scelte controcorrente e a decidere di
impostare la vita di casa con tempi e modalità diverse,
dando spazio maggiore al dialogo e all’incontro, anche
spirituale, unica via che porterebbe pace e serenità ad
un cuore affannato e sovraccarico di preoccupazioni.
L’amore
di Dio genera
comunione
Solo ciò che nasce dall’amore guarisce la solitudine
e solo chi mette al centro della propria vita il valore
delle persone, prima delle cose e dei servizi, riesce a
gustare la gioia dell’incontro. L’amore lenisce le ferite
dell’anima, quando è continuo, e mostra che la persona e le sue esigenze contano più di tutto: dei soldi, del
doppio lavoro, della casa bella e ricca di cose, delle
feste. Solo l’amore penetra dentro ed è il balsamo che
guarisce. E l’amore esige tempo, tanto tempo per stare
vicino, per parlarsi ed ascoltarsi, per condividere, per
guardare negli occhi e sentire il cuore di una persona.
Ma non è solo l’amore umano, pure forte e importante,
il fondamento di relazioni sincere e feconde di bene;
occorre l’amore di Dio, che cementa la comunione di
vita nelle case con la sua divina presenza.
Riferire le relazioni familiari al Signore ci fa comprendere quanto importante sia trovare il tempo, nella propria
casa, per la preghiera, via privilegiata che permette di
scoprire ed accogliere ogni giorno la volontà di Dio.
Natale può essere il momento propizio per iniziare. At
torno al presepe ci si può trovare insieme genitori, figli,
anziani, per ascoltare i racconti della nascita e dell’infanzia di Gesù, gustarne la semplicità e la ricchezza di
fede e di annuncio.
La casa dei cristiani è sempre stata considerata come
una “piccola Chiesa” dove è, non solo possibile, ma
doveroso pregare e dove i genitori e gli anziani esercitano, con la loro guida e testimonianza, il compito di
essere sacerdoti e profeti. I tempi e i modi sono diversi
e ciascuno deve trovare i propri, ma quello che importa
è aprire uno spazio di preghiera nel vortice delle mille
“cose da fare”. Tertulliano, autore dei primi secoli della
fede cristiana, scrive alla moglie una lettera molto attuale (cfr. Tertulliano, Ad Uxorem, II, 8,7-8):
«Come sono belli due sposi che si amano a vicenda.
Condividono la stessa speranza.
Lo stesso ideale, lo stesso modo di vivere,
lo stesso atteggiamento di servizio.
Ambedue fratelli e servi dello stesso Signore.
Senza divisione nella carne e nello spirito.
Insieme pregano,
insieme si inginocchiano,
insieme fanno digiuno.
Si istruiscono l’un l’altro,
l’un l’altro si esortano,
E si sostengono a vicenda.
Insieme stanno nella santa assemblea,
insieme alla mensa del Signore,
insieme nella prova, nella persecuzione e nella gioia.
Nulla nascondono l’un l’atro,
non evitano l’un l’altro,
l’un l’altro non sono di peso.
Volentieri fanno visita agli ammalati,
volentieri assistono i bisognosi,
senza malavoglia fanno l’elemosina,
senza fretta partecipano al sacrificio.
Senza sosta assolvono ogni giorno i loro impegni.
Ignorano i segni di croce furtivi,
rendono grazie senza reticenze,
benedicono senza vergogna nella voce.
Recitano salmi e inni a voci alternate.
Insieme gareggiano nel cantare le lodi al nostro Dio.
Vedendo e sentendo questo,
Cristo gioisce e manda la sua pace.
Là dove sono i due sposi, ivi c’è Cristo».
La più arricchente preghiera per una coppia nella propria casa è senza dubbio l’ascolto della Parola di Dio.
La Bibbia ed il Vangelo, in particolare, sono gli strumenti
più efficaci e alla portata di tutti. Le famiglie, i cui figli
frequentano il catechismo, possono usufruirne accompagnando il cammino di fede dei figli. Ogni famiglia può
procurarsi un messalino festivo e scegliere, durante la
settimana, di leggere in casa il brano del Vangelo o di
qualche lettura della Messa della domenica successiva.
Non mancano validi sussidi per accostare la Parola di
Dio in casa. Anche la televisione nazionale e locale e i
social media offrono uno spazio per ascoltare la Parola
di Dio, in genere il Vangelo domenicale.
Ciò che manca, forse, è la buona volontà di iniziare
un’esperienza che porta in famiglia una luce e un calore nuovi, ma che esige qualche rinuncia per mettere la
preghiera al primo posto nell’organizzazione del proprio
tempo. Papa Paolo VI, in un memorabile discorso a Nazareth, parlò della famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
come modello per ogni famiglia e disse tra l’altro: «La
famiglia di Nazareth ci insegna anzitutto il silenzio. Se
rinascesse in ogni casa la stima del silenzio, atmosfera mirabile e indispensabile dello spirito; mentre siamo
storditi da tanti frastuoni e rumori e voci clamorose nella
esagitata e tumultuosa vita di ogni giorno. O silenzio di
Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri,
intenti alla vita interiore, pronti a sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto sia importante la riflessione, la meditazione,
l’interiorità della vita, la preghiera che Dio solo vede nel
segreto» (Discorso tenuto a Nazaret, 5 gennaio 1964).
Figli dello stesso
Padre
I Magi, con il loro viaggio a Betlemme, rivelano che
Gesù ha reso il mondo come una grande casa comune. Egli non è nato solo per la sua famiglia naturale e
la comunità del suo popolo, ma per tutta l’umanità.
Un’umanità divisa da tante barriere culturali, etniche,
religiose, sociali, che egli ha unito, perché di tutti si è
fatto fratello, amico e salvatore.
Le diversità restano e sono una risorsa. Sarebbe ingenuo e presuntuoso immaginare un’umanità priva di
quella multiforme ricchezza di valori che la storia e le
tradizioni di un popolo e di una civiltà hanno via via
accumulato nei forzieri della memoria, della religione,
della cultura. Occorre non solo accettare e tollerare tali
diversità, ma conoscerle, valorizzarle e promuoverle
per renderle una risorsa positiva per tutti.
La Chiesa, fin dal suo inizio, ha visto in questo episodio
dei Magi l’orizzonte nuovo ed universale della venuta
di Gesù e ne ha tratto l’invito a portare nel mondo intero il suo Vangelo di unità, di riconciliazione e di pace.
Giovanni Paolo II, ad Assisi nel 1986 riunì numerosi
rappresentanti delle diverse religioni, mostrando di
non temere di incontrarsi per pregare lo stesso Dio,
per promuovere dialogo, amicizia e fraternità, per vivere un’esperienza di comunione ed impegnarsi nella
costruzione di un mondo di pace e di giustizia.
Abbiamo tutti la stessa luce, che ci guida alla verità,
disse loro, e su questa via è possibile camminare uniti
verso la stessa meta, che è l’incontro con Dio, per portare agli uomini il suo messaggio, che rifiuta ogni violenza,
terrorismo e guerra ed invita all’amore e all’unità. Il Papa
realizzò così quanto insegna Gesù nel vangelo di Marco.
Un giorno, mentre stava parlando ad una grande folla,
alcuni discepoli gli dissero: «“Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano”. Ma egli
rispose loro: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”.
Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno
a lui, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché
chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella
e madre”» (Mc 3,31-35). Con tale affermazione Gesù
non rifiuta o sminuisce i vincoli familiari, ma li apre ad
una comunione più ampia, che abbraccia chiunque fa la
volontà di Dio e segue la via che conduce a lui, ascolta
la sua Parola e si sforza di metterla in pratica
Lo stesso atteggiamento è adoperato da Gesù nei confronti di persone che professano altre religioni, come
il centurione romano che chiede la guarigione del suo
servo (Mt 8,5-13) o la donna cananea che domanda la
guarigione della figlia (Mt 15,21-28). Gesù riconosce:
«In Israele non ho trovato nessuno con una fede così
grande!» (Mt 8,10). Questo non significa che tutte le religioni siano uguali e seguire l’una o l’altra sia la stessa
cosa, perché si vanificherebbe l’annuncio della salvezza
cristiana, che riconosce in quel Bambino di Betlemme,
adorato dai Magi quale Dio e Signore, l’unico Salvatore.
Ogni religione, tuttavia, è una via che indica il cammino da seguire verso Dio e questa strada di ricerca della
verità accomuna tutti gli uomini, religiosi e non religiosi.
La stella dei Magi è, in fondo, Gesù stesso, che guida
gli uomini a sé già nella propria coscienza aperta alla
verità e al bene, come ci ricorda il prologo del Vangelo di
Giovanni: «Il Verbo incarnato è la luce che illumina ogni
uomo che viene in questo mondo… Chi crede in lui ha
la vita di Dio, la vita eterna» (cfr. Gv 1,9.12).
Il Papa Francesco, nella sua ultima lettera enciclica
Fratelli tutti, afferma: « Le diverse religioni, a partire
dal riconoscimento del valore di ogni persona umana
come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio,
offrono un prezioso apporto per la costruzione della
fraternità e per la difesa della giustizia nella società…
Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al
Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e
stabili per l’appello alla fraternità. Siamo convinti che
soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi. Perché la ragione, da
sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini
e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non
riesce a fondare la fraternità» (271-272).
Dov’è il Messia
che è nato?
Anche oggi a tanti cristiani capita quello che è
avvenuto ai tempi dei Magi, quando, giunti a Gerusalemme, essi andarono a chiedere informazioni
sulla nascita del Messia ad Erode. Gli scribi e i sacerdoti, che conoscevano bene le Sacre Scritture,
li indirizzarono a Betlemme, ma non si mossero
per accompagnarli, giudicando non degne di considerazioni le loro attese e speranze di trovare il
Messia. Chi sapeva e credeva, non si mise in cammino e restò estraneo alla ricerca. I Magi, che non
conoscevano le Sacre Scritture, invece, ripartirono
e raggiunsero la meta.
Ormai da qualche tempo, tante persone, che professano una religione diversa dalla nostra, abitano
e lavorano nel nostro Paese. Per molti di loro il
Natale suscita curiosità, ma anche domande, che
richiedono risposte vere ed un aiuto per conoscere, apprezzare e, forse, se Dio vuole, accogliere la luce che può condurli al Signore Gesù. Ma
chiediamoci sinceramente: quale aiuto spirituale
possono trarre dal comportamento dei cristiani,
delle nostre famiglie e comunità, per camminare
insieme verso la scoperta e l’incontro con Gesù?
A volte si ha persino timore di nominare il nome di
Gesù, nel Natale, con la scusa di rispettare tutte le
religioni presenti a scuola o nella comunità civile.
Ci si inventa, allora, la “festa della vita” o “della
luce” o “della pace” e si racconta la nascita di
Gesù come una delle tante storie, di cui è ricca la
letteratura infantile.
Che cosa diventa, così, la festa del Natale? Un’occasione di festa civile, ricca di divertimento e di
evasione dal quotidiano, di regali e di luci, ma
povera di fede e di amore, perché priva dell’incontro con Colui che è il festeggiato, il Figlio di
Dio. Senza il riferimento a Cristo Signore, anche i
simboli (come l’albero e le luci) e i gesti più belli
di affetto e di fraternità possono tramutarsi in riti
virtuali, che pagano il loro prezzo al consumismo
dominante per la gioia futile di un momento.
Siamo giustamente preoccupati di salvaguardare i
simboli, la tradizione, i luoghi di culto, le feste della
nostra religione e forse lo siamo troppo poco per
accompagnare le persone, che hanno un’altra religione o che non credono più, nella ricerca della
strada che conduce a Cristo. Accompagnare significa, anzitutto, testimoniare con coerenza e verità la
fede nel Signore, che nasce per noi, riconoscendolo
come Figlio di Dio e Salvatore. Accompagnare significa anche fare la strada con pazienza e amicizia,
per scoprire quanti valori umani e spirituali ci uniscono e quante esperienze possiamo fare insieme
per aprire il cuore all’unico Dio, Creatore e Padre.
La testimonianza
apre la strada
verso il Signore
La domanda dei Magi risuona anche oggi tra noi e sfida
la testimonianza di ogni cristiano e di ogni famiglia, che
decidono di vivere il Natale non solo per sé, ma come
annuncio e proposta per tutti. La risposta dipende solo
dalla fede, perché Gesù rinasce veramente, anche oggi,
per ogni uomo che lo cerca. La sua stella brilla per chi si
mette in via per trovarlo, non nella ricchezza o nella potenza umana dell’avere o dell’evasione gaudente della
festa, ma nella semplicità dei gesti di amore quotidiani,
negli incontri sinceri con chi ci vive accanto o ci provoca
con le sue povertà morali o materiali.
Una via concreta, oggi, è particolarmente necessaria:
dare una famiglia a chi ne è privo. Questa è sempre
stata una delle scelte che i genitori cristiani hanno seguito per aprire il loro amore al di là dei confini della
propria casa. Penso alle adozioni a distanza che tante famiglie della nostra terra, con generosità, attivano
ogni anno verso i Paesi e le missioni del Terzo e Quarto
Mondo. Si tratta di una scelta significativa e carica di
conseguenze positive. Molto più impegnativa, ma an
cora più ricca di amore e di vita, è la scelta dell’affido
e dell’adozione, per lo più internazionale. La fatica, che
tante famiglie debbono fare per dare corso a questa
scelta, potrebbe essere agevolata, se la legislazione in
materia fosse meno burocratica e farraginosa.
Vorrei anche richiamare alla vostra attenzione altri possibili cammini di vita. Uno riguarda i diversamente abili,
le famiglie dei quali vanno aiutate a superare momenti
di sfiducia e di chiusura, trovando nella parrocchia e
nelle altre famiglie un sostegno effettivo e forte, che
infonda loro speranza ed offra gesti concreti di condivisione e di amore. Un altro riguarda i bambini e i ragazzi immigrati e zingari. Ricordo quanto ho scritto nella
lettera pastorale che ho rivolto alla Diocesi su questo
tema nel 2012: aprite, voi famiglie e parrocchie, la vostra casa e comunità ai fanciulli e ragazzi immigrati e
zingari per fare i compiti, imparare meglio la lingua e
la cultura del nostro Paese, giocare ed incontrarsi con i
loro coetanei nell’oratorio e nelle varie attività di sport e
di gioco… Non abbiate paura di mescolare i vostri figli
con i figli degli altri, perché non è allontanandosi che ci
si difende, ma imparando a conoscersi e a chiamarsi
per nome, superando così le diffidenze reciproche.
Il Papa Francesco, a proposito dei disabili, afferma:
«Voglio ricordare quegli “esiliati occulti” che vengono
trattati come corpi estranei della società. Tante persone con disabilità sentono di esistere senza appartenere
e senza partecipare. Ci sono ancora molte cose che
impediscono loro una cittadinanza piena. L’obiettivo è
non solo assisterli, ma la loro partecipazione attiva alla
comunità civile ed ecclesiale. È un cammino esigente
e anche faticoso, che contribuirà sempre più a formare
coscienze capaci di riconoscere ognuno come persona
unica e irripetibile. Ugualmente penso alle persone anziane che, anche a motivo della disabilità, sono sentite
a volte come un peso. Tuttavia, tutti possono dare un
singolare apporto al bene comune attraverso la propria
originale biografia. Mi permetto di insistere: bisogna
avere il coraggio di dare voce a quanti sono discriminati per la condizione di disabilità, perché purtroppo
in alcune Nazioni, ancora oggi, si stenta a riconoscerli
come persone di pari dignità» (Fratelli tutti, 98).
Infine, non possiamo dimenticare che uno dei più importanti impegni delle famiglie è quello di accogliere la vita
di ogni bambino concepito nel grembo materno, riconoscendo in lui un figlio di Dio, che va custodito con l’amore con cui Maria ha accolto Gesù. La famiglia cristiana è
chiamata a farsi prossima a quelle donne, che si trovano
in grave difficoltà nell’accettare la maternità, aiutandole
a prendere la giusta decisione per la vita e ad affrontare
con speranza il loro futuro e quello dei loro figli.
Carissimi,
alzate lo sguardo al cielo: una splendida luce è apparsa
oggi sulla terra. Essa è accesa anche per ciascuno di
noi. I Magi, al vedere la stella, provarono grandissima
gioia. È la stessa gioia che auguro alla vostra famiglia
in questo Natale.
A chi vive un tempo doloroso di prova e di sofferenza,
annuncio che Gesù è il Dio vicino, che si fa carico di ogni
dolore e pena con il suo amore di fratello e di amico.
A chi piange la perdita di qualche congiunto, figlio, genitore o amico, annuncio che Gesù è venuto per vincere la morte e dare la speranza di una vita per sempre.
A chi vive situazioni di divisione e di gravi rotture familiari, annuncio che Gesù è Principe della Pace ed offre
la forza del perdono, che lenisce le ferite e ricolma di
serenità interiore.
A chi soffre la solitudine o la lontananza dalla famiglia
o dalla patria, annuncio che Gesù apre vie di solidarietà
e di condivisione tra tutti gli uomini, dando vita ad una
grande famiglia nella quale nessuno è estraneo o stra
niero, ma tutti si riconoscono figli dello stesso Padre.
A chi ha subìto ingiustizie e violenze ed è tentato di
rispondere al male con il male, annuncio che Gesù ha
distrutto le radici del peccato e dà la forza di vincere il
male con il perdono.
A chi ha perso la speranza di cambiare e non ha il
coraggio di ricominciare un domani diverso e migliore,
annuncio, con la Chiesa, che «Oggi Cristo è nato» e in
lui c’è la certezza che tutto è possibile.
Facciamo nostra la bella preghiera di sant’Ambrogio
(cfr. La Verginità, 99):
«Tutto è per noi Cristo.
Se desideri medicare le tue ferite, egli è medico,
Se bruci di febbre, egli è la sorgente consolatrice.
Se sei oppresso dalla colpa, egli è la giustizia.
Se hai bisogno di aiuto, egli è la forza.
Se temi la morte, egli è la vita.
Se desideri il cielo, egli è la via.
Se fuggi le tenebre, egli è la luce.
Se cerchi il cibo, egli è il nutrimento.
Gustate dunque e vedete quanto è buono il Signore.
Felice l’uomo che spera in lui».
Buon Natale! La benedizione del Signore raggiunga
ogni famiglia insieme alla mia amicizia di vescovo, padre e amico.
Torino e Susa, dicembre 2020
Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino e Vescovo di Susa
Preghiamo
davanti
al Presepe
Prologo di Giovanni (forma breve):
«A quanti lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati»
(Gv 1,12-13).
Preghiamo.
O Dio che in modo mirabile
ci hai creati a tua immagine
e in modo più mirabile
ci hai rinnovati e redenti,
fa’ che possiamo condividere
la vita divina del tuo Figlio
che oggi ha voluto assumere
la nostra natura umana. Amen.
Segue il rito delle benedizioni della mensa e dei figli.
La mensa
Signore, ti ringraziamo di questo cibo che
ci dai e della fraternità che ci unisce nel
consumarlo, ricordandoci di quelli che non
lo hanno. Per Cristo Nostro Signore. Amen.
I figli
Signore Dio onnipotente, creatore di ogni
cosa, tu che ci hai fatti partecipi del dono
di dare la vita, benedici [nome del figlio o della figlia]. Fa’ che la sua vita, santificata nel
Battesimo, sia sempre ricca di ogni bene
secondo il tuo volere e possa crescere in
sapienza, età e grazia davanti a te e agli
uomini. Per Cristo nostro Signore. Amen.
I genitori tracciano un segno di croce sulla fronte
del figlio o della figlia, come hanno fatto il giorno
del suo Battesimo.