170 milioni di bambini a fare gli schiavi

In Africa un bambino su quattro, tra i 5 e i 14 anni, lavora in una miniera o in una produzione agricola. La globalizzazione ha fatto diventare normale questo fenomeno. Eppure come consumatori possiamo fare molto.

LAVORO MINORILE

Il tema è stato rimosso. Eppure sono circa 170 milioni, nel mondo, i bambini, in età tra i 5 e i 14 anni, che vengono sfruttati come schiavi e messi a lavorare nelle peggiori condizioni possibili. Più della metà sono coinvolti in attività ad alto rischio per la salute, per il quotidiano contatto con le sostanze chimiche tossiche.

Mi sono chiesto i motivi di questa rimozione, nonostante le periodiche grida manzoniane dell’Unicef (abbiamo anche la Giornata mondiale contro il lavoro minorile…) , e credo che tra i tanti guasti della globalizzazione ingiusta ci sia anche un effetto perverso sulla perdita di senso del lavoro: ciò che fino a ieri era considerato inaccettabile, minorenni nelle catene di montaggio, oggi è un dato acquisito, con i minorenni che per esempio fanno parte della massa dei lavoratori borderline per le consegne a domicilio.

SFRUTTAMENTO MINORILE

Sicuramente l’epicentro del lavoro minorile è l’Africa, dove un bambino su quattro lavora. Quasi sempre in condizione disumane. Nello Zimbabwe per l’estrazione dei diamanti, e così in tanti altri paesi nelle piantagioni di banane, caffè, olio di palma e prodotti alimentari. Ma è molto riduttivo circoscrivere la piaga del lavoro minorile alla parte del mondo meno sviluppato.

Lavoratori bambini sono spesso denunciati in America, per esempio, specie nella parte più profonda e più agricola del Paese. Li troviamo nelle nostre campagne, innanzitutto al Sud, quando c’è da fare la raccolta del pomodoro o la vendemmia. E li vediamo in giro per il mondo, nelle fabbriche globali dei grandi brand, dove si produce a costi bassissimi per la manodopera e pericoli altissimi per le vite umane a rischio spreco.

COME CONTRASTARE IL LAVORO MINORILE

La battaglia del lavoro minorile va ripresa. Ed è una battaglia sovranazionale, nella quale possiamo fare non poco come consumatori. Per esempio, avendo chiara la provenienza dei prodotti che acquistiamo, chiedendo garanzie sulle condizioni di lavoro dei fornitori, anche per un paio di scarpe da ginnastica o per uno smartphone. Non rassegniamoci, insomma, a una sconfitta dell’uomo, della sua dignità e della sua unicità. E consideriamo il lavoro minorile di oggi per ciò che rappresenta: un pezzo di quello che non ci piace, e non ci potrà mai piacere, della globalizzazione.

Fonte www.nonsprecare.it