Lavoro, non sempre dignitoso.

Gli ultimi, “gli scarti”

“Il lavoro rende l’uomo simile a Dio, perché con il lavoro l’uomo è creatore, è capace di creare, di creare tante cose. Questa è la prima vocazione dell’uomo: lavorare. E questo dà dignità all’uomo. La dignità che lo fa assomigliare a Dio.

La dignità del lavoro.  

Troppo spesso il lavoro viene interpretato unicamente come una necessità economica quindi come uno strumento per ottenere un reddito che permetta poi di consumare.   Il lavoro è molto di più. Il lavoro è soprattutto un ambito in cui la persona può diventare più persona, sperimenta la sua creatività, sperimenta i legami che la uniscono agli altri” (Papa Francesco). Nelle diagnosi del male che in questo campo affligge il nostro paese e altri continenti Papa Francesco indica valori antitetici a quelli oggi prevalenti del profitto, della speculazione, della tecnocrazia e dell’“immediatismo” (cioè attenzione ai soli risultati immediati), dello sfruttamento delle risorse come delle persone. Urge uscire dalla “cultura dello scarto” per perseguire “la globalizzazione della solidarietà”, un approccio che metta la persona sopra il denaro. Meta dalla quale distano troppe, davvero troppe realtà. Vale la pena aprire qui una finestra su due di queste realtà, due tra le innumerevoli possibili, a puro titolo esemplificativo, che ci fanno toccare con mano la fatica di vivere, il dolore, l’umiliazione di troppi uomini, la palese iniquità del sistema in cui viviamo, in cui troppi vivono, e sul quale siamo chiamati a vigilare e contrastare, anche nel nostro piccolo, per rivendicare per tutti quella dignità del lavoro che ci fa uomini.

La più grande discarica abusiva di rifiuti elettronici del pianeta

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Si trova in Ghana, ad Agbogbloshie, sobborgo di Accra, la capitale: ogni anno da Europa e Stati Uniti arrivano quotidianamente, attraverso il mercato nero, al vicino porto di Tema, tonnellate di dispositivi tecnologici fuori uso: elettrodomestici, vecchi pc, stampanti, ma soprattutto smartphone, sversati qui quotidianamente da decine e decine di camion. Scarti per noi, veleno e “lavoro” per la popolazione locale.  

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   I primi rifiuti elettronici sono arrivati qua poco meno di 20 anni fa, a piccole dosi, poi il traffico internazionale è esploso. Si tratta di rifiuti difficili da eliminare, il loro smaltimento comporta costi elevati, quindi spesso vengono trasportati qui per diminuire le spese, dando origine a una discarica così sconfinata da essere visibile dai satelliti. Quello che accade nella discarica è un pugno nello stomaco. Mescolati agli adulti, i bambini camminano a piedi nudi o con infradito, pieni di tagli nelle gambe, dormono sul veleno. E lo respirano tutto il giorno, dal momento chebruciano quintali di gomma e plastica isolante altamente tossica e cancerogena o spaccano con pietre e martelli i monitor touch screen dei vecchi dispositivi per ricavare rame, oro, acciaio, alluminio. Il loro posto sarebbe la scuola o un campo di gioco, ma i loro genitori non guadagnano abbastanza per mantenerli. (Fonti: Il fatto quotidiano, 14 giugno 2020;napoli.zon.it, 20 dicembre 2020; altraeconomia.it,             1 giugno 2011,la discarica hi-tech)

Le corresponsabilità dell’Europa in questo sporco traffico sono molte e sono insufficienti le iniziative di contrasto. Tuttavia, oltre che politica, la responsabilità è anche personale. Per attaccare questo traffico è possibile agire a livello individuale, praticando la sobrietà (comprando meno apparecchiature, condividendole, facendole durare più a lungo); scegliendo aziende che seguano e vigilino sul processo di costruzione e smantellamento del prodotto, al fine di rendere l’intera filiera “pulita”.

India: come schiavi

Dalit sweeper woman walks by a pig at a dump

I «Dalit» la classe sociale più bassa nel sistema di caste indiano e gli «adivasi», le popolazioni indigene e tribali, che abitano boschi e zone rurali, circa 300 milioni di individui, quasi un quarto della popolazione indiana, vengono considerati inferiori secondo la religione, e così sporchi e «inquinanti» da meritare il nome di «intoccabili». Con questa scusa i lavoratori di questi gruppi sono sfruttati in tutti i settori dell’economia e utilizzati per gli incarichi più umili. E la globalizzazione economica ha aumentato le disuguaglianze.In India ci sono 2,6 milioni di gabinetti «a secco», ovvero latrine di fortuna, le quali, non avendo acqua corrente disponibile, vengono tenute in efficienza e pulite da oltre 53mila persone, i cosiddetti «scavengers», tramite lavoro manuale. Si tratterebbe di un’attività lavorativa vietata da 25 anni. Quelli citati sono dati ufficiali del ministero competente, sottostimati, perché non tengono conto di chi lavora nel settore ferroviario, dove il numero delle latrine è enorme, né delle 182mila donne che svolgono questa attività nei villaggi rurali (cifre di un censimento relativamente recente), ricompensate con due pezzi di pane al giorno e un pugno di cereali ogni sei mesi. Il pagamento in denaro, pochissimi spiccioli, è previsto in rari casi.   

La vicenda potrebbe sembrare la terribile stortura di un sistema specifico di lavoro, invece non è che una piccola fetta di quello sfruttamento indistinto che colpisce questi due gruppi specifici di persone.

(Fonte:Missioni Consolata, 10 ottobre 2019)

Sappiamo che quadri simili e per alcuni versi anche peggiori(bambini soldato, bambini sfruttati da organizzazioni criminali per i loro affari anche nel nostro paese, lavoratori costretti ad abbandonare le famiglie per lavorare in condizioni schiavili -anche nel nostro paese- a 12/14 ore di lavoro al giorno per poi vivere in baracche fatiscenti e senza alcun servizio, oppositori a regimi repressivi segregati e costretti a lavoro gratuito…) sono diffusi su gran parte del pianeta.       Dobbiamo allora pensare, formare, educare, batterci per un nuovo umanesimo del lavoro, dove l’uomo, e non il profitto, sia al centro; dove l’economia serva l’uomo e non si serva dell’uomo (Papa Francesco). Lavorare a un modello di economia alternativo a quello consumistico, che produce scarti”, per passare a un modello che restituisca dignità alla persona, attraverso politiche dedicate all’infanzia, all’istruzione e alla cultura, a garantire l’accesso a tutta una serie di servizi per i bambini e adulti.

Nel frattempo cominciamo adadottare comportamenti etici quotidiani che rifuggono dalla leggerezza, dalla disinformazione, dall’allettamento del prezzo stracciato dei prodotti del lavoro.