Don Roberto Repole , nuovo arcivescovo di Torino

Repole, docente universitario, è direttore della Facoltà teologica di Torino ed è stato fino a poco tempo fa presidente dei teologi italiani. È un nome, dunque, di alto profilo teologico. Studioso di teologia sistematica, si è dottorato in Gregoriana con una tesi dal titolo “Chiesa pienezza dell’uomo. Oltre la postmodernità: G. Marcel e H. de Lubac”.

Tra le sue pubblicazioni si segnalano: “Il pensiero umile. In ascolto della Rivelazione” (Città Nuova); “Seme del Regno. Introduzione alla Chiesa e al suo mistero” (Esperienze); “L’umiltà della Chiesa” (Qiqajon); “Come stelle in terra. La Chiesa nell’epoca della secolarizzazione” (Cittadella); “Dono (Rosenberg & Sellier); “La vita cristiana” (San Paolo); “Chiesa” (Cittadella).

Repole è vicino alla riforma ecclesiale che sta portando avanti il Papa. In più scritti ha fatto suo l’auspicio di una maggiore sinodalità, tema ricorrente nel magistero di Francesco. Per lui la riforma ecclesiale disegnata dal Papa richiede come condizione un’adeguata teologia del presbiterio. “Già nella Chiesa antica – ha scritto recentemente – coesistevano diversi modelli di ministero che sembrano ben accompagnarsi a una prospettiva di miglior sinodalità, che permetta di pensare al vescovo come principio di unità con e nel suo presbiterio, piuttosto che al di fuori di esso; nel primo caso infatti risulta possibile leggere più il vescovo a partire dal presbiterio e meno il presbiterio a partire dal vescovo”.

Sulla rivista del clero italiano ha scritto anche in merito alla “Chiesa in uscita” postulata sempre da Francesco, una Chiesa “missionaria, che ha quale priorità l’annuncio ai lontani”. In questo senso l’azione ministeriale deve adottare un “radicale cambio di prospettiva”. Per il presbitero infatti diviene vitale chiedersi “come sostenere una comunità che si pensi e si viva strutturalmente estroversa, all’interno di un mondo scristianizzato, dove l’unica possibilità che è data per l’evangelizzazione è che il Vangelo venga trasmesso da persona a persona e sia accolto nella libera adesione della coscienza”. Ciò comporta “una conversione nel percepire il ruolo dei preti, poiché la comunità cristiana esiste e vive anche là dove essi non possono fisicamente esserci, là dove, primariamente, si gioca la sfida dell’annuncio evangelico”.