Corridoi di speranza

All’indomani dell’intesa trovata dalle delegazioni di Mosca e Kiev per la creazione di corridoi umanitari, ricordiamo l’appello e le accorate domande di Giovanni Paolo II che, nel 1999, chiedeva di portare aiuto alle popolazioni ammassate sulla frontiera del Kosovo. Un dramma, quello di moltitudini di profughi in fuga dalla guerra, che oggi si rinnova in Europa a causa della guerra in Ucraina

Vie sicure per consentire a fiumane di profughi, tra cui donne e bambini, di fuggire dalla guerra. È in questa prospettiva che si inserisce l’accordo raggiunto da delegazioni di Mosca e Kiev in Bielorussia, nel secondo round di negoziati, per creare corridoi umanitari e garantire un cessate il fuoco temporaneo. In questo tempo drammatico in cui si mescolano, dolore, lacrime e sangue, risuonano le parole pronunciate da San Giovanni Paolo II in un altro drammatico periodo della nostra storia. Era la domenica di Pasqua del 1999 e il Pontefice polacco invocava il dono prezioso della pace “per la terra martoriata del Kosovo”. 

Come parlare di pace, quando si costringono le popolazioni a fuggire, si dà la caccia agli uomini e se ne incendiano le abitazioni? Quando il cielo è squassato dal boato della guerra, quando sulle case echeggia il sibilo dei proiettili e il fuoco distruttore delle bombe divora città e villaggi? Basta con il sangue dell’uomo crudelmente versato! Quando si spezzerà la diabolica spirale delle vendette e degli assurdi conflitti fratricidi?

A queste domande Giovanni Paolo II faceva seguire un altro importante e attuale interrogativo:

Penso a chi è ucciso, a chi resta senza casa, a chi è strappato ai suoi familiari, a chi è costretto a fuggire lontano. Si mobiliti la solidarietà di tutti, perché tornino finalmente a parlare la fratellanza e la pace! E come rimanere insensibili di fronte alla fiumana dolente di uomini e donne del Kosovo, che bussano alle nostre porte implorando aiuto?

Rispondere al dolore con le vie della solidarietà

Come rimanere insensibili di fronte alla fiumana dolente di uomini e donne che bussano alle nostre porte? Questa domanda, posta da San Giovanni Paolo II, ci interpella drammaticamente anche oggi. Come quegli uomini e quelle donne che fuggivano dal Kosovo, anche i profughi in fuga dall’Ucraina hanno bisogno, in questi giorni bui, di corridoi di speranza. A loro i polacchi – come ha ricordato Papa Francesco all’udienza generale dello scorso 2 marzo – hanno aperto per primi cuori, porte e confini. Coloro che fuggono da gravi crisi umanitarie hanno bisogno di risposte, non di silenzi. Ed è indispensabile, come sottolinea Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, “aprire corridoi umanitari per i rifugiati più vulnerabili”. Spalancare vie di solidarietà per portare la luce nel buio e la speranza tra dolori laceranti.

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano