Tre Icone
Autore: Massimo Cacciari
Editore: Adelphi, anno 2007, pagg 51
“ Rublev, Piero della Francesca, de Eyck: tre illuminanti esercizi di teologia della visione”. Così in quarta di copertina, per i tre brevi scritti (il libro è in formato decisamente tascabile) di Massimo Cacciari su opere pittoriche che lui giudica ‘estreme’, altamente significative per l’intensità del pensiero pittorico sotteso tra arte e fede. Appartenenti ad ambiti geografici, sociali e culturali diversi, ma più o meno coevi, che hanno sollevato dalla loro comparsa domande e riflessioni incessanti. Il primo scritto, sulla Trinità, di Andrej Rublev, è una profonda revisione di una precedente riflessione dell’autore sulla stessa opera. L’icona della Trinità è anche conosciuta come icona dell’Ospitalità di Abramo. Richiamal’episodio biblico dell’incontro, presso Mamre, di Abramo e Sara con i tre angeli che annunciano al patriarca la nascita di un figlio) ed è oggi alla Galleria statale Tret’jakov di Mosca. Per la Chiesa Orientale Ortodossa è l’icona delle icone (foto a lato). Fu dipinta, o meglio, scritta (delle icone si dice così) in occasione della canonizzazione nel 1422 di san Sergio di Radonez, fondatore dell’omonimo Monastero della Trinità (non lontano da Mosca), dove Rublëv, monaco, viveva. Nel corso dei secoli l’icona ha sollecitato continue riflessioni e varie letture. Nella lettura fatta da Massimo Cacciari, chi guarda l’icona (dalle notevoli dimensioni: 142×114 cm, su tavola di legno) vede nei tre Angeli: a sinistra il Padre, al centro il Figlio e a destra lo Spirito raccolti attorno a una mensa, a celebrare la cena eucaristica…Visti. però, non secondo una convenzionale linea di fuga prospettica ma in una prospettiva inversa, sì che la scena irradia verso lo spettatore, perché l’icona non è rappresentazione del divino ma una sua manifestazione. Nella prospettiva inversa è attiva la scena non colui che guarda. Qui: “L’Angelo nel mezzo … è disposto sul terzo piano rispetto alle figure laterali, eppure….sporge in avanti, tanto da far percepire come convessa l’intera composizione”.
Il primo scritto, sulla Trinità, di Andrej Rublev, è una profonda revisione di una precedente riflessione dell’autore sulla stessa opera. L’icona della Trinità è anche conosciuta come icona dell’Ospitalità di Abramo. Richiamal’episodio biblico dell’incontro, presso Mamre, di Abramo e Sara con i tre angeli che annunciano al patriarca la nascita di un figlio) ed è oggi alla Galleria statale Tret’jakov di Mosca. Per la Chiesa Orientale Ortodossa è l’icona delle icone (foto a lato). Fu dipinta, o meglio, scritta (delle icone si dice così) in occasione della canonizzazione nel 1422 di san Sergio di Radonez, fondatore dell’omonimo Monastero della Trinità (non lontano da Mosca), dove Rublëv, monaco, viveva. Nel corso dei secoli l’icona ha sollecitato continue riflessioni e varie letture. Nella lettura fatta da Massimo Cacciari, chi guarda l’icona (dalle notevoli dimensioni: 142×114 cm, su tavola di legno) vede nei tre Angeli: a sinistra il Padre, al centro il Figlio e a destra lo Spirito raccolti attorno a una mensa, a celebrare la cena eucaristica…Visti. però, non secondo una convenzionale linea di fuga prospettica ma in una prospettiva inversa, sì che la scena irradia verso lo spettatore, perché l’icona non è rappresentazione del divino ma una sua manifestazione. Nella prospettiva inversa è attiva la scena non colui che guarda. Qui: “L’Angelo nel mezzo … è disposto sul terzo piano rispetto alle figure laterali, eppure….sporge in avanti, tanto da far percepire come convessa l’intera composizione”.
Si nota, inoltre che le linee dei troni laterali e delle relative pedane non convergono verso un punto di fuga posto all’orizzonte della scena ma, al contrario, tendono a un punto che si trova in basso, dalla parte dell’osservatore
Perché nell’icona “le coordinate spaziali non hanno alcun valore”, lo spazio “è quello della pura fede”, che qui ci apre alla visione della ”Pace che Lui solo – il Dio Trinità – può donare”. E dona gratuitamente.
E’ la stessa Pace, nota l’autore, che riverbera nell’icona del Salvatore – sempre di Rublev – anch’essa conservata alla Tret’jakov (foto a lato). Qui, il Cristo nella sua maestà divina volge il suo sguardo misericordioso, diritto, paziente, fiducioso sui figli. “Nessuna immagine del Cristo, dice Cacciari, ha più compiutamente espresso come egli non sia venuto a giudicare”, ma a dirci che il suo giogo è dolce e il suo peso leggero, ristoro alla nostra vita (Mt 11, 29-30). E’ con questo volto, si chiede l’autore, che Cristo apparve ai suoi discepoli o con il volto immaginato ne’ la Resurrezione di Piero della Francesca, a Sansepolcro, in una luce chiaroscurale lontana dall’oro dell’icona?
La Resurrezione è una pittura murale (225x200cm) di Piero della Francesca, eseguita tra il 1450 e il 1463 e conservata nel Museo Civico di Sansepolcro (foto a lato). Questo secondo scritto è la versione rivista di una conferenza già tenuta dall’autore per l’inaugurazione del Museo, nel 1998 Nell’affresco vediamo, in una prospettiva dal basso, alla base quattro soldati romani dormienti, sovrastati dalla figura del Risorto che si leva dal sepolcro, eretto, secondo perfette proporzioni, un vessillo crociato ben saldo e diritto nella sua destra. Tutto espresso con sobrietà, come è sobrio il racconto evangelico, senza patetismi. Qui il Cristo appare sì “pronto a sedere alla destra del Padre”, ma l’autore ci invita a soffermarci sul suo volto, sul suo sguardo, diretto a chi guarda, quasi volesse attraversarlo. Il Cristo è solo, come lo era nel Getsemani, con soldati dormienti, come dormienti erano gli apostoli. Si chiede l’autore: ”Forse che qui il suo volto ha ‘superato’ ogni tristezza e trionfato di ogni abbandono?… La Resurrezione non appare per il Cristo come compimento…Egli sapeva che non sarebbe stato ancora accolto… non s’attendeva nulla in cambio”. Il suo è stato un puro donarsi, senza calcoli di ritorni, in perfetta gratuità e libertà. Questo sembra dire, secondo Cacciari, la scena della Resurrezione, unitamente a un invito finale diretto allo spettatore-lettore che potrà sorprenderlo…
La terza riflessione ci porta davanti al Ritratto dei coniugi Arnolfini (dipinto a olio su tavola del 1434, conservato alla National Gallery di Londra) del grande pittore delle Fiandre Johannes de Eyck. Il ricchissimo mercante lucchese Giovanni Arnolfini è qui con la sua seconda sposa Giovanna Cenami, nella stanza da letto: lui leva la mano destra e con l’altra sorregge quella della donna che gli si affida. Lei appoggia la mano sinistra sul proprio grembo, promessa di vita (foto a lato). Lui immagine della Fede, lei della Speranza. Se le nozze tra Speranza e Fede sono rappresentabili, nella scena che si consuma nell’ambiente più sacro del mercante sembra mancare Agape, Caritas che, osserva l’autore, sembra partecipare – alla scena – nella forma dell’assenza. Anche quest’ ultima riflessione si chiude con un ponderoso interrogativo per lo spettatore – lettore, che va ad aggiungersi ai tanti suscitati dagli altri due precedenti saggi, in questo leggibilissimo e stimolante saggio.
Osvaldo Aime