La Fuci: “no” alla cultura dello scarto
***La Fuci, la Federazione universitaria cattolica italiana***
A Bologna il Congresso degli universitari cattolici. «Gli atenei? Non più luoghi di ricerca della propria vocazione ma poli per avere un lavoro» 3 Maggio 2024
«Negli ultimi decenni le università sono passate progressivamente dall’essere luogo di ricerca della propria vocazione di vita a luoghi da abitare solo per avere il “pass” per il mondo del lavoro dove il tempo è denaro». La Fuci, la Federazione universitaria cattolica italiana, sceglie il suo Congresso nazionale per denunciare la svolta “utilitaristica” che si tocca con mano negli atenei della Penisola. Nella relazione della presidenza che ha aperto ieri pomeriggio a Bologna l’incontro numero 71, gli universitari cattolici raccontano le «criticità» all’interno delle aule. Perché «il compito essenziale dell’essere in Fuci sta proprio nel porci come mediatori: a partire da solide basi valoriali, derivate dalla fede, il nostro essere cristiani si fa testimonianza viva in ogni ambito, studio compreso», si legge nella proposta formativa.
Al centro dell’evento che si conclude domenica il tema “Universitari: maneggiare con cura”. Un titolo che pone l’accento sulla ricerca del benessere psicologico degli studenti, direzione che ha caratterizzato il percorso dell’anno federativo agli sgoccioli. Del resto, «alla base di una cultura profondamente cristiana, vi è la centralità dell’essere umano». Spiega la Fuci nell’intervento di ieri presentato dai presidenti nazionali Carmen Di Donato e Tommaso Perrucci: «Abbiamo assistito a un’ondata di notizie su suicidi di ragazze e ragazzi a causa purtroppo della vita accademica, anche all’interno delle stesse mura universitarie. I dati Istat dicono che nel 2023 i suicidi nella fascia d’età tra 15 e 34 anni sono stati 468, con un’altissima percentuale proprio di studenti universitari. Allora non possiamo non indignarci per il fatto che si sia dovuti arrivare a queste situazioni limite perché si sentisse parlare del tema della salute psicologica anche nell’università».
Se il disagio mentale non è più un tabù, la Fuci si domanda: «Che cosa stiamo facendo per contrastare questo fenomeno?». Nel Congresso nazionale vengono citate le statistiche secondo cui «un universitario su tre mente ai genitori sugli esami: questo significa che i suicidi sono la punta di un iceberg di fatiche profonde e diffuse». Da qui il richiamo alle fragilità: «Vivere in una società così performante ci rende suscettibili a essere giudicati da categorie come il successo e il fallimento, quasi che ogni nostra azione debba rispondere ad aspettative e canoni di perfezione che chiudono la porta a ogni esitazione, sensibilità e peculiarità, che però è ciò che rende ciascuno di noi unico e prezioso».
L’incontro vuole essere un invito alla speranza. Soprattutto di fronte a etichette che rischiano di diventare uno stigma. «Il termine “fallito” – sottolinea la presidenza – è un participio passato che quindi indica un’azione conclusa, non modificabile, come afferma Vera Gheno, “è una pietra tombale sulle possibilità di una vita, toglie qualsiasi speranza”. Nessuno di noi è fallito perché le nostre vite sono fatte di tanti preziosi frammenti; si può sbagliare e anche fallire in una sfera della propria vita, ma questo non ci rende falliti. Tanto meno quando, ancora giovani, abbiamo davanti a noi tanta strada da percorrere». Certo, le difficoltà personali hanno radici anche nell’impostazione socioeconomica e culturale contemporanea. «Nel fenomeno del disagio giovanile c’è una dimensione collettiva. Dunque è un problema che non può essere attribuito esclusivamente al singolo, ma che coinvolge l’intera comunità e intercetta le responsabilità di ciascuno chiedendo una risposta comunitaria». Da qui la scelta di spendersi in prima persona. Perché, conclude la Fuci citando papa Francesco, «stiamo imparando che da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui si vede quello che non c’è; insieme, invece, si costruiscono i sogni».
Giacomo Gambassi