Il giudice ragazzino

Storia di Rosario Livatino assassinato dalla mafia sotto il regime della corruzione

Autore: Nando dalla Chiesa

Editore: Einaudi, 2015; pagg. 148

ll titolo del libro nasce da una sortita polemica dell’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, riportata in chiusura del libro: “Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il corso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga“. (Cossiga smentirà, dodici anni dopo, che quelle affermazioni dispregiative fossero rivolte a Rosario Livatino). Un giudice ragazzino, quindi, Rosario Livatino, ucciso a soli trentotto anni, il 21 settembre 1990, nella campagna di Agrigento, dopo aver svolto per anni con precisione e onestà, un lavoro febbrile, fatto di casi eccellenti e di ordinaria quotidianità che ad altri parrebbe facile trascurare (come il rinunciare a raggiungere gli amici il ferragosto per recarsi in carcere a firmare l’ordine di rimessa in libertà di un carcerato che finiva quel giorno di scontare la sua pena).

Il libro prende in esame gli intrecci che negli anni Ottanta si sono sviluppati, in Sicilia, tra criminalità organizzata, giri di affari e politica: opachi finanziamenti della Regione Sicilia a Cooperative giovanili, giri di fatture miliardarie truccate in importanti appalti …

L’autore Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo assassinato anche lui dalla mafia pochi anni prima a Palermo, rileva come, anche in questo caso come sarà per Tangentopoli, la magistratura dovesse adempiere a un ruolo di supplenza nei confronti di uno Stato talvolta assente e talvolta connivente. “La politica aveva instaurato verso la magistratura un duplice atteggiamento di delega e diffidenza. Da un lato la delega andava alla risoluzione dei problemi più gravi che attanagliavano la democrazia italiana; dall’altro ne diffidava temendo che la risoluzione di questi problemi potesse alla fine comportare qualche seria minaccia al suo potere, alle sue trame e alle sue connessioni illegali”.

Se la vicenda di Livatino è centrale nel libro, di grande importanza, per comprenderne davvero i contorni, è il concetto di “regime della corruzione” attraverso cui Nando Dalla Chiesa descrive, non risparmiando nomi ed episodi precisi, quella discreta connivenza fra politica, intellettuali, mass media e mafia che sola può garantire, attraverso la manipolazione dell’opinione pubblica, il successo dei poteri criminali.

NB 1. La Chiesa cattolica il 9 maggio 2021 ha beatificato Rosario Livatino laico convinto e cattolico fervente «martire in odio alla fede». Perché «un martire della giustizia è indirettamente martire della fede” (Papa Wojtyla). Chi lavora per la giustizia, lavora per il Vangelo. Ha detto di lui Mons. Mario Russotto, vescovo di Caltanissetta: «Rosario Livatino è un giudice santo perché profondamente uomo, cosciente della sua creaturalità e fragilità, con i suoi slanci di appassionato amore e le sue timidezze, con i ripetuti fallimenti dei suoi approcci amorosi e la sua nascosta carità verso i poveri. Perché si è santi solo nella consapevolezza di essere peccatori!».

2. Alessandro di Robilant, regista del Film Il giudice ragazzino su Rosario Livatino, dice che sapeva concertezza che lui “aveva una vita spirituale molto intensa, un’interiorità molto forte. Sono convintissimo che lui parlasse a lungo con sè stesso e avesse un dialogo costante anche con Dio. Il momento della morte credo che colga impreparato chiunque, ma sicuramente era una possibilità a cui lui aveva già pensato. Lo conferma anche la scelta di rifiutare la scorta per non rischiare la vita di altri uomini.”

Fonti: attentiaqueidue.net, rosario livatino il giudice ragazzino, 22 agosto 2022, ed editore

Osvaldo Aime