Ridurre le spese militari e convertirle in aiuti umanitari
Nella Giornata mondiale dell’aiuto umanitario, dall’account @Pontifex il tweet di Francesco rilancia l’appello a deporre le armi per incoraggiare una cultura a favore del sostegno ai più bisognosi, oltre 130 milioni attualmente, a causa di guerre o disastri naturali. Il numero di incidenti in cui sono coinvolti gli operatori nel mondo è più che triplicato dal 2003, con una media annuale di circa 450 uccisi, feriti o rapiti
Nel tweet dell’account @Pontifex diffuso oggi, 19 agosto, in occasione della Giornata Mondiale dell’Aiuto umanitario, risuona l’appello che è uno dei leitmotiv del magistero di Papa Francesco: la costruzione della pace, che esige fatica e coinvolgimento sociale, e lo spostamento del ‘core business’ delle istituzioni internazionali dalle armi alle necessità urgenti dei popoli in difficoltà.
“È nostra responsabilità aiutare a estirpare dai cuori l’odio e la violenza. Incoraggiamo a deporre le armi, a ridurre le spese militari per provvedere ai bisogni umanitari, a convertire gli strumenti di morte in strumenti di vita”
#NoMatterWhat, “qualunque cosa accada”
Cibo, acqua, riparo, istruzione, salute, nutrizione e protezione. È ciò che nella maggior parte delle situazioni offrono le organizzazioni umanitarie laddove si sperimenta fragilità, pericolo, miseria. La Giornata umanitaria mondiale – istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2008 – vuole rendere omaggio al coraggio e alla dedizione degli operatori umanitari di tutto il mondo. “Non importa chi, non importa dove, non importa cosa”, è lo slogan scelto quest’anno. Sono oltre 130 milioni le persone attualmente in crisi, a causa di guerre o disastri naturali, che hanno bisogno di aiuti umanitari. Gli operatori non mancano, in genere ben preparati, animati dai principi basilari di umanità, imparzialità, neutralità e indipendenza. Sono persone che con la loro opera sensibilizzano l’opinione pubblica sulle condizioni dei civili a livello planetario, consapevoli tuttavia di andare incontro a un impegno sempre più rischioso: di fatto, il numero di incidenti in cui si trovano coinvolti è più che triplicato dal 2003, con una media di circa 450 operatori umanitari uccisi, feriti o rapiti ogni anno.
“450 operatori umanitari uccisi, feriti o rapiti in media ogni anno”
Vent’anni dopo l’attacco al Canal Hotel di Baghdad
“Quante guerre sono iniziate a causa dell’arroganza, dell’indifferenza della mancanza di interesse verso le ragioni degli altri?”: se lo chiedeva Sergio Vieira de Mello, rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Iraq, tra le 22 vittime dell’attacco mortale al Canal Hotel di Baghdad, nel 2003, che ridusse in macerie la sede Onu nella capitale irachena. Fu uno dei più letali nella storia delle Nazioni Unite, la prima volta che un’organizzazione umanitaria internazionale neutrale veniva presa di mira. Accadde il 19 agosto, da qui la scelta di far coincidere la Giornata mondiale con una data simbolo assai significativa. Una data che peraltro segnò un punto di discontinuità nell’agire umanitario. A distanza di vent’anni, fa impressione notare quanto quell’efferata azione terroristica non abbia spento la motivazione degli operatori quanto l’abbia in qualche modo, invece, riempita di senso. È chiaramente percepibile dalle numerose testimonianze dei sopravvissuti che raccontano di come vivono la loro missione di resilienza, radicamento sul territorio, appartenenza alle comunità.
Onu: inaccettabile dover ridurre gli aiuti a milioni di persone
Oggi le operazioni umanitarie globali arrivano a un bacino di utenza dieci volte maggiore rispetto a due decenni fa, si legge nel messaggio del segretario generale Onu, António Guterres. Si tratta di portare aiuti salvavita a 250 milioni di persone in 69 Paesi. “Con il moltiplicarsi delle crisi, è inaccettabile che gli operatori umanitari siano costretti a ridurre gli aiuti a milioni di persone in difficoltà”, denuncia, mentre osserva che negli ultimi vent’anni le tensioni geopolitiche sono aumentate, esiste un “palese disprezzo per il diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, campagne di disinformazione e aggressione deliberata. Lo stesso umanitarismo – sostiene – è ora sotto attacco”. In questo scenario, tuttavia, sono sfide che hanno reso più forte la comunità umanitaria globale, evidenzia il messaggio per la Giornata. “Gli umanitari, che sono per lo più personale nazionale che lavora nei propri Paesi, sono ancora più vicini alle persone che servono. Stanno trovando nuovi modi per avventurarsi più a fondo nelle regioni colpite da disastri e più vicino alle prime linee di conflitto, spinti da un unico scopo: salvare e proteggere vite umane”.
Caritas Internationalis: risposte a crisi complesse e prolungate
“Oggi il nostro mondo deve affrontare tre minacce principali: la crescente disuguaglianza, il moltiplicarsi dei conflitti e l’emergenza climatica. Gli operatori umanitari si trovano a dover rispondere ad emergenze sempre più complesse e crisi sempre più protratte” nel tempo, così il commento di Alistair Dutton, segretario generale di Caritas Internationalis. “I nostri operatori umanitari sacrificano ogni elemento di loro stessi, della loro sicurezza, per servire i più vulnerabili ed assicurare che i loro diritti umanitari siano garantiti loro. Sono presenti prima, durante e molto tempo dopo ogni disastro”, scandisce in un comunicato dell’organismo. E precisa: “Le persone che serviamo non sono semplici destinatari di assistenza umanitaria, ma sono al centro della nostra azione”, prosegue, sottolineando che tutti i loro bisogni vengono considerati, materiali, sociali, psicologici e spirituali, in una prospettiva integrale. “In Paesi in guerra come l’Ucraina o la Siria gli operatori umanitari continuano ad operare anche quando i loro cari sono stati uccisi o rapiti, oppure quando le loro case sono state distrutte e loro stessi sono in condizioni di sfollati. Dopo il terremoto avvenuto in Siria e Turchia – riferisce ancora Dutton – molti dei membri dello staff di Caritas Anatolia erano costretti a dormire in macchina, eppure non hanno mai smesso di distribuire aiuti”. Eppure, constata amaramente il segretario, la dedizione purtroppo si scontra con le numerose e spesso dimenticate crisi (come in Etiopia, dove più di 20 milioni di persone rischiano di morire di fame), l’estrema povertà e la mancanza di attenzione da parte della comunità internazionale.
Antonella Palermo – Città del Vaticano