Don Riboldi 1923 – 2023 Il coraggio tradito

Autore: Piero Perone

Editore: San Paolo editore, 2022, pagg 224

Don Antonio Riboldi, arcivescovo di Acerra, morto nel 2017, è stato una delle figure di primo piano della Chiesa italiana impegnate nel contrasto alle mafie, in particolare nella lotta alla camorra negli anni della faida sanguinaria – quasi trecento ammazzati- tra la NCO (Nuova Camorra Organizzata) di Raffaele Cutolo e i rivali della cosiddetta Nuova Famiglia. Ad Acerra arrivò dopo esser stato parroco a Santa Ninfa (dal 1958 al 1978, in quest’ultimo anno fu nominato vescovo) nella valle del Belice, nella Sicilia terremotata (gennaio 1968), dove visse in una baracca come i suoi parrocchiani e dove fu soprannominato “don terremoto” per il suo attivismo nel denunciare i ritardi nell’opera di ricostruzione del Belice. Portò i terremotati a Roma da Paolo VI e davanti ai palazzi della politica, per sollecitare interventi concreti alla soluzione dei drammi rimasti aperti e dimenticati.

Ad Acerra volse il suo impegno contro la Camorra. Presto chiamò i suoi fedeli e migliaia di giovani studenti provenienti da tutta la Campania e pezzi della sinistra di allora nel nome dei valori della legalità contro ogni connivenza mafiosa. Don Riboldi oltre a essere un uomo di Chiesa era anche un grande comunicatore. Uno che riusciva a rompere gli argini del mondo cattolico, parlando a tanti. È stato il primo vescovo che è salito sul palco insieme al partito comunista e al sindacato Cgil, ad Ottaviano, con l’allora segretario generale Luciano Lama.

Il titolo richiama due ricorrenze: Il coraggio – 1982, anno della prima marcia anticamorra (12 novembre), con migliaia di cittadini soprattutto giovani capeggiata da Don Riboldi, e poi il centenario della sua nascita (16 gennaio 1923). Ma denuncia anche (Il Coraggio) tradito”, perché molte delle cose che furono dette in quella stagione di speranza sono state poi tradite dalla politica. Che non ha creato le condizioni affinché quel coraggio avesse un seguito e si creassero i presupposti per una rinascita sociale, che purtroppo non c’è stata. A 40 anni di distanza si assiste anzi ad una recrudescenza del fenomeno camorristico.

Leggere queste pagine servirà quindi soprattutto a chi, vivendo in contesti in cui il fenomeno camorristico e mafioso è ancora ben radicato, decide di non abbandonarsi ad un arrendevole disfattismo, immobilizzato dalla paura o dalla malcelata convinzione dell’impossibilità di ogni cambiamento positivo. «Spero – è l’auspicio di Perone, autore e caporedattore de ‘IlMattino’ – che il centenario serva soprattutto a raccontare quest’uomo di Chiesa, ma anche un eroe civile, di cui in questi anni si è affievolita la memoria. Don Riboldi per una generazione di persone, quelli della mia età – l’autore è uno dei “ragazzi” di Don Riboldi -, ha rappresentato un punto di riferimento” per molti giovani che non avevano nessun riferimento per intraprendere un cammino di liberazione di quei territori e trovarlo in un vescovo, al di là dei motivi confessionali, è stata un’occasione propizia per ristabilire la bellezza del messaggio evangelico su questi territori. La speranza è che questo libro possa servire ai ragazzi a conoscere questo protagonista della storia non solo della Campania ma del Paese per cinquant’anni e a capire che ci si può ribellare ai poteri criminali e quindi seguire un po’ l’esempio che lui ci diede all’epoca». Su sollecitazione di Don Riboldi, come si legge nel libro, la Chiesa campana sottoscrisse allora, 1982, il documento “Per amore del mio popolo non tacerò”, nel quale il vescovo denunciava le risorse della camorra (droga, estorsioni, tangenti sugli appalti…), scuola di devianza per molti giovani attratti dal mito della forza e del rapido guadagno, le collusioni tra politica e camorra, ma anche l’insufficienza di un’azione pastorale nel formare cristiani e cittadini maturi…

Il nostro “don Antonio”, come amava familiarmente farsi chiamare, è stato un profeta in senso biblico, perché ha dato speranza a un popolo, aiutandolo ad alzare la testa; ha aiutato ad alzare la testa ai poveri e ai deboli, ai “senzatutto”, come li chiamava lui“, ha scritto nella prefazione l’attuale vescovo di Acerra, mons. Antonio Di Donna. “L’ha fatto anzitutto con la Parola, l’annuncio del Vangelo e con la denuncia profetica. Ma l’ha fatto anche con concreti gesti di liberazione: tra i terremotati a Santa Ninfa, ad Acerra contro la camorra, ma anche con i terroristi e le Brigate Rosse, incontrati nelle carceri italiane insieme con un altro grande pastore, l’arcivescovo di Milano, il compianto Cardinale Carlo Maria Martini. Ma egli è stato soprattutto un pastore, un vescovo fatto popolo”, un defensor civitatis come gli antichi vescovi.

Le ultime pagine del libro sembrano cedere a una visione amara di Perone: «Nel solco di don Riboldi, pezzi della Chiesa restano in trincea, ma dietro di loro, rispetto agli anni Ottanta, c’è solo il deserto che avanza. E se un tempo una parte della politica, insieme con il sindacato, era alleata di chi voleva combattere lo strapotere dei boss, ora è disattenta e contribuisce con le proprie mancanze a scavare solchi profondi che acuiscono la rassegnazione». E disegna con nomi precisi una mappa nera dei gruppi criminali che tengono in ostaggio quelle terre – a Ottaviano, a Somma Vesuviana, a Torre Annunziata, a Castellamare, ad Afragola, ad Acerra stessa, a Cardito… – E tuttavia, dice Perone in un’intervista: ”Non credo che la mafia sia un fenomeno strutturale. Si può sconfiggere, se si creano le condizioni sociali, politiche ed economiche, affinché poi la criminalità organizzata non rinasca”.

Che fare allora? La risposta va cercata in due espressioni care a don Riboldi: “organizzare la speranza, … e ricordare per rinascere”.

Alcuni momenti salienti della vita e della febbrile attività di Don Riboldi è possibile riviverli più da vicino grazie a un nutrito apparato fotografico che arricchisce il testo.

Fonti: Il Riformista 17 novembre 2022; irpinia24.it 12 gennaio 2023