DI OMBRA E DI LUCE

Io, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio

Autore: Maurizio Giovagnoni

Editore: Mimep Docete editore, 2023, pagg. 144

Caravaggio lo incontriamo, lo vediamo, da subito, in copertina, così come si è autoritratto mentre assiste alla “Cattura di Cristo”. Poi lo incontriamo e lo sentiamo parlare, o meglio, confessarsi, fin dalle prime pagine in una serie di monologhi, quando è allo stremo delle forze, sulla spiaggia di Porto Ercole, nella bassa Toscana, al confine con le terre della Chiesa. Qui, dove si perdono le notizie sull’artista l’autore Maurizio Giovagnoni compie “un’incursione sfacciata e umile (dettata da ammirazione e affezione) nel cuore dell’artista, …con le sue miserie e grandezze, peccati e redenzioni, nella luce e nell’ombra come ogni uomo.” Come il naufrago prima di sparire tra le onde invoca in un ultimo grido la mamma, così qui il Caravaggio negli ultimi istanti della sua vita – così immagina l’autore – dialoga con la madre, si raccomanda a lei, dopo aver inutilmente urlato il ritorno della nave che l’ha abbandonato, solo, febbricitante tra la sabbia e il mare, col respiro che gli accresce l’affanno. A due passi da quella Roma persa e sempre sperata, dove l’attenderebbe redenzione, dopo anni di esilio. Ormai alla fine, esausto, il suo parlare si fa frantumato, le parole gli escono a singhiozzi, a brevi fiotti, sempre più rallentati prima di alzare un’estrema, tenera raccomandazione alla madre.

La madre Lucia, perso presto il marito, nella peste che infuria a Milano, mette Michelangelo a bottega di un pittore, allievo di Tiziano, “spogliandosi di per far ricco suo figlio, per sfamarlo di destino”. Fame vera, quella patita dall’artista nei primi anni romani, presso monsignor “Insalata” (dal nome del pasto principale che gli veniva offerto da monsignor Adolfo Pucci), mentre cominciava a dar vita a quadri con “facce e corpi un po’ ammaccati e un po’ volgari, ma veri”, salvati da quella luce divina che sempre taglia le sue tele, in lotta con le ombre. Ombre vere che attraversano da sempre la sua vita, offuscano il suo carattere ruvido, facile alla rissa e ai coltelli negli stretti vicoli, nelle taverne visitate nelle notti romane. E lame spesso balenano anche nei suoi quadri. Lame inquietanti sottomesse però sempre a lame di luce.

Sono tratti contrastanti, che nelle prime pagine venano gli ardenti monologhi, i pensieri del figlio tormentato e morente rivolti alla madre, nei quali il Merisi si riconosce ‘bravo davanti a una tela da animare e insieme tronfio e supponente nella vita’. E, nella seconda parte del libro, questi tratti di tenebra e di luce si proiettano anche sui racconti delle opere del Merisi, trenta quadri (su poco più di cento creati dall’artista), che l’autore Giovannoni fa al lettore con lo stesso stile dei monologhi, sincopato, frammentato. Tentando di portare in luce i motivi di quelle audaci creazioni, tratte dalla realtà, lontane dalla sacralizzazione religiosa, con Santi e Cristi e Madonne mai idealizzati ma rappresentati da gente comune, povere, spesso “poco decorose”, come lo sono, ad esempio, i pastori adoranti il Bambino in braccio alla “Madonna di Loreto”, anch’essa popolana vera, poggiata allo stipite della Santa Casa. Naturalezza umile, esibita dai volti e dall’abbigliamento di tanti apostoli o carnefici protagonisti di scene crude e sorprendenti, brutte e sporche, dettate all’artista da un “non poter fare a meno del vero”, ma sempre alla ricerca “di fede e verità, di eterno”.

Impossibile per il lettore non sentir vibrare in sé stesso le parole di quei monologhi, provare una naturale empatia con i soggetti ritratti nelle tele, con i loro patimenti, esitazioni, incredulità, semplicità e povertà… Grazie alla forma narrativa scelta da Maurizio Giovagnoni, capace di portare direttamente il lettore nella scena rappresentata, facendola parlare, evocare ricordi, rimandi, considerazioni, pensieri, preghiere.

Del testo Di Ombra e di luce è stato realizzato un adattamento teatrale portato più volte in scena dalla compagnia “Teatro pedonale”, con la regia di Matteo Riva e l’interpretazione di Matteo Bonanni (da quarta di copertina)

Osvaldo Aime