Mitezza

Autore : Eugenio Borgna

Editore : Einaudi, 2023, pagg 103

Se la mitezza è il comportamento di chi non indugia alla violenza, mantenendo un atteggiamento pacato e paziente, oggi non appare facile incontrarla, viverla, stretti come siamo in rapporti frettolosi, ansiogeni, non di rado aggressivi e violenti. Eppure – scrive Eugenio Borgna – “la mitezza, nei suoi camaleontici orizzonti è fragile come una farfalla, ma ha la forza di farci uscire dall’individualismo spalancando le porte alla saggezza”. Perché la mitezza sa essere contagiosa induce a relazionarci in modo rispettoso, gentile con l’altro, e a renderci più attenti alla nostra stessa vita interiore: riconoscere, accettare i nostri limiti, le nostre fragilità, i conflitti che ci abitano, le cause, mitigarne gli effetti.

Nelle sue prime ardenti pagine sulla mitezza l’autore riprende le parole di Gesù nel discorso della montagna: “Beati i miti, perché erediteranno la terra” (Mt 5, 5), così come sono illustrate dal cardinale Carlo Maria Martini in “Beati voi!”: L’uomo mite è colui che rimane non possessivo, sommamente rispettoso del mistero della libertà, imitatore, in questo, di Dio”… Richiama poi quelle, del grande teologo protestante Dietrich Bonhoeffer – “Se li si ingiuria, i miti, essi tacciono…, non provocano clamori, se subiscono torti…”. E quelle del filosofo Norberto Bobbio che annovera la mitezza tra le virtù ‘deboli’, non perché le consideri inferiori o meno utili.., ma perché caratterizzano la parte della società dove stanno gli umiliati e gli offesi”. La mitezza è non-violenta, dunque virtù non politica ma sociale, non è neppure virtù reciproca perché il mite non chiede, non pretende. E l’autore pensa che a questo modo di vivere possiamo allenarci quotidianamente.

Ma la mitezza è virtù femminile più che maschile, come pensava Norberto Bobbio? Borgna qui lascia parlare la sua esperienza, non prima di aver ripercorso pagine di tenerezza infinita del “Diario” di Etty Hillesum (12 luglio 1942), che ne tracciano le fondazioni umane e spirituali.

Quando poi il discorrere sulla mitezza si incontra con quello sulla fragilità, i pensieri dello psichiatra si aprono a ricordi della sua appassionata esperienza di direttore per lunghi anni dei reparti femminili del manicomio di Novara, al suo mai cessato dialogo con la follia, con le tante persone ferite dal dolore, dalla fatica di vivere. E, nello scorrere dei brevi racconti di storie di vite sofferenti di alcune pazienti – come nelle righe tratte dal diario di Valeria, un’ospite del manicomio – le pagine si sfogliano con crescente pudore per le parole delicate commosse e partecipi dell’autore. Che nel “seguire il cammino misterioso che porta alla conoscenza della nostra interiorità e di quella degli altri” dichiara di aver tratto grande aiuto dalla letteratura. A partire dalla testimonianza che ne Le libere donne di Magliano, l’autore, il medico e scrittore Mario Tobino fa di donne internate in un reparto psichiatrico femminile presso Lucca, ricordandoci che “… i matti sono creature degne d’amore…, che la follia non si cura se non con gentilezza d’animo, mitezza e tenerezza”.

E modo di essere della mitezza traluce da “gli occhi ridenti e fuggitivi” della donna cantata dal Leopardi, o nella dolcezza nostalgica che percorre a lungo la poesia di Emily Dickinson, o nella struggente fragile delicatezza che traspira da Gelsomino notturno di Giovanni Pascoli o in Spleen di Sergio Corazzini e, a proseguire, fino alla infinita “com-passione“ che anima il principe Myskin, semplice, puro, sincero, nel romanzo L’idiota di Fedor Dostoevskij o all’immagine di una indicibile grazia ferita nel film Une femme douce di Robert Bresson (ispirato al racconto La mite di F. Dostoevskij ), e ancora nelle pagine struggenti che raccontano della morte cercata da Anna Karenina (nell’omonima celebre opera di Lev Tolstoj), come l’hanno cercata non poche pazienti vissute sul filo di una tragica e tenera fragilità, conosciute da Borgna.

Conoscere la mitezza che è negli altri, anche quella custodita con riserbo nelle pagine di tanti libri, è nutrimento dell’anima, è premessa alla conoscenza e alla fioritura di quella che è in noi, sperduta nel guazzabuglio del nostro cuore. Ci si può educare alla mitezza, come dovrebbe avvenire negli anni della scuola, gli anni in cui ansia, insicurezza, tristezza e male di vivere possono premere dolorosamente sugli adolescenti. Rimane quindi dovere di ogni adulto “ricostruire modelli di linguaggio e di comportamento animati da mitezza e da gentilezza”. Fino a giungere, magari, alla delicatezza di chi sa cogliere “i segreti che covano negli occhi degli uomini e che straripano rapidi in un sorriso appena si accorgono che qualcuno li capisce” (M. Tobino, in Il figlio del farmacista, citato dall’autore).

Buona lettura, buona immersione nel profondo delle proprie emozioni, alla ri-scoperta della nostra personale mitezza, come di quella che si cela negli sguardi, nei volti, nei sorrisi e nelle lacrime degli altri, perché “il mite può essere configurato come l’anticipatore di un mondo migliore” (N. Bobbio) per il quale molti si battono e a cui tutti aneliamo. E questo piccolo prezioso libro, se vogliamo, ci prende per mano e ci accompagna per quella via. Una via che attende di essere percorsa da tutti noi, magari n punta di piedi.

Aime Osvaldo